"La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico.
La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare".
Piero Calamandrei

mercoledì 27 marzo 2013

Emilia-Romagna, una terra per le mafie



"O la smette o gli sparo in bocca". E’ quanto dice Guido Torello (imprenditore) a Nicola Femia (boss della 'ndrangheta), arrestati entrambi in un’operazione di qualche settimana fa che ha portato a 29 ordinanze di custodia cautelare e che ha smantellato l'organizzazione, che con base a Ravenna, gestiva in tutta Italia e all'estero, i settori del gioco on line e delle videoslot manomesse.
Chi avrebbe dovuto smetterla è Giovanni Tizian, giornalista della Gazzetta di Modena, sotto scorta da un anno per le sue denunce. Tutto ciò avviene nella civile Emilia-Romagna, quella che, Pippo Fava, più di trent’anni fa, definiva la più grande lavanderia d’Italia, oggi è ben altra cosa. Il Pg di Bologna Emilio Ledonne, ha lanciato l’allarme sulla colonizzazione della regione da parte delle mafie e con almeno 11 organizzazioni presenti sul territorio (tra cui 7 straniere) è difficile contraddirlo.
Pisanu rincara: “Sappiamo che la criminalità organizzata ha già acquistato delle case di cura”. Nel nord Italia la mafia si presenta con il volto rassicurante di manager e colletti bianchi e  certamente la ‘ndrangheta è l’attore economico più attivo.

Il fatturato delle organizzazioni mafiose in Emilia Romagna è pari a 20 miliardi di euro, quasi il 10 % rispetto a quello di tutta Italia. I beni confiscati ad oggi sono 110, con buona parte a Bologna e in provincia, e almeno l’8,6 % tra commercianti e imprenditori è coinvolta in attività di prestiti a strozzo.
Nell’ultimo rapporto della DIA si legge che ci sono stati nove attentati negli ultimi sei mesi del 2011 (160 intutta Italia), più che in Sicilia (7) e quasi al pari della Calabria (10).
Il 30% delle imprese di autotrasporti (2.599 su 9.083) non risultano proprietarie di nessun veicolo, mentre circa 900 imprese risultano "non titolate a poter svolgere questa attività". Un settore, quello del trasporto merci, spartito soprattutto tra ‘ndranghetisti e casalesi mentre il movimento terra è tutto nelle mani delle ’ndrine.

Una regione, l’Emilia-Romagna, prima in Italia per i lavoratori “in nero” e seconda sul fronte dei lavoratori irregolari: sono rispettivamente 7.849 e 16.586. (leggi qui il resto del dossier)
E la ricostruzione? I contributi ministeriali stanziati sono 8,4 miliardi, le istituzioni hanno adottato il protocollo di intesa per dire no al massimo ribasso negli appalti ma le mafie sono già arrivate.
Certo. Ancora nessun Comune sciolto (nonostante il caso di Serramazzoni che ha rischiato)
 per “infiltrazioni mafiose” ma questo non fa della civile Emilia-Romagna un territorio felice.
Una terra non di mafie ma per le mafie. Un territorio, freddo, che oggi si è riscaldato.
Non siamo “ancora” ai livelli di Liguria e Lombardia ma i numeri sono preoccupanti, sempre che la “politica” abbia voglia di ascoltare e faccia più di quanto fatto fino ad oggi

mercoledì 20 marzo 2013

Il sopravvissuto




Ho conosciuto Pippo Giordano lo scorso 18 luglio alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo in occasione del ventennale della strage di Via D’Amelio. Ascolto l’intervista che gli viene fatta da Telejato e c’è qualcosa che mi colpisce, forse quel sorriso, forse quello sguardo o forse quei suoi baffi temprati e familiari. Passa qualche settimana e vengo a sapere che è appena uscito il suo libro “Il sopravvisuto” così non perdo tempo ad ordinarlo e dopo un pò di vicissitudini con la casa editrice, per la mancata consegna, il libro finalmente arriva.

Inizio subito a leggerlo, con frenesia e senza un motivo.
Il suo racconto parte dalla fine, da quegli interrogatori con Gaspare Mutolo e Paolo Borsellino per poi percorrere tutta la sua carriera. Dalla mobile di Forlì, al trasferimento a Palermo al lavoro alla DIA di Roma.
Il suo arrivo a Palermo, nel pieno della seconda guerra di mafia, coincide con l’omicidio del “Principe di Villagrazia”, Stefano Bontande, eliminato dai “viddani” che da Corleone si portavano alla conquista di Palermo.
Un romanzo con un punto di narrazione speciale. Un testimone, sopravvissuto. Quella del testimone è sempre una figura spesso dimenticata e ignorata, lasciata al buio quando meriterebbero di splendere.
Siamo un paese che pensa a glorificare i morti piuttosto che salvaguardare e onorare i vivi.

L’amicizia con Cassarà e Montana, gli arresti mancati e fatti, la ferocia incontrastata di Riina, i misteri, i servizi segreti, Bruno Contrada, le strategia di Cosa Nostra e l’assenza dello Stato.
Il rapporto con i collaboratori di giustizia, l’attentatuni.
Quegli anni raccontati da chi è stato in prima linea nella lotta alla mafia con Montana, Cassarà, Falcone e Borsellino.
Così ogni pagina letta ti rinforza, non è facile voltar pagina e continuare a leggere quei nomi, quegli omicidi, quegli arresti, aneddoti, raccontati da un uomo che vissuto in prima linea “la mattanza”.

Il libro, con la prefazione di Antonio Ingroia, è scritto con Andrea Cottone.
Un libro che merita di essere letto, per se stessi, per provare a comprendersi, per non perdere la “memoria”.
Pippo Giordano, un sopravvissuto, testimone privilegiato con la sola colpa, forse, di essere rimasto vivo in una stagione piena di sangue dove tanti sono stati i caduti e dove la vita non ti appare più la stessa.

mercoledì 13 marzo 2013

Habemus Papam: cardinalem Bergoglio





Non appena ho avuto la notizia che il nuovo vescovo di Roma sarebbe stato latino-americano il mio pensiero è andato subito all’arcivescovo Oscar Romero di San Salvador ucciso mentre stava celebrando messa. Ucciso il 24 marzo 1980 a causa del suo impegno nel denunciare le violenze della dittatura del suo paese. Ebbe sempre un cattivo rapporto con Paolo VI e non riuscì a ottenere l'appoggio del nuovo papa Giovanni Paolo II.

Bergoglio, fermo oppositore dei diritti civili, avrebbe dovuto essere eletto nel 2005, poi si tirò indietro. Nel giorno della sua elezione ha esordito dicendo: “voi sapete che il dovere del conclave è di dare un vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo alla fine del mondo”. Parole umili come il nome che porta, Francesco, un nome che porta con se la ricchezza spirituale dei gesuiti e la povertà materiale dei francescani.
Romero dicevamo, ucciso per essersi opposto alla dittatura nel 1980. Un anno quello, in cui la dittatura militare comandava in Argentina (durata dal ’76 al ’83) e la chiesa ufficiale è stata connivente con il Generale Videla.
La complicità con il terrorismo di Stato durante la dittatura militare in Argentina tra il 1976 e il 1983 segnano un grave lato oscuro (qui) nella figura del nuovo pontefice. Trentamila persone (desaparecidos) scomparvero in quegli anni.

Vero è anche che Bergoglio nell'anno del 2000 fece indossare all'intera chiesa argentina le vesti della pubblica penitenza, “per le colpe commesse negli anni della dittatura"

Tra le ultime cose del pontificato di Ratzinger ci rimane il nuovo presidente dello IOR,  uno dei più grossi produttori di navi da guerra tedeschi (qui)


Questa è storia. Quello che avverrà da domani lo giudicheremo giorno per giorno.
Ad ogni modo l’aspettiamo a maggio, a Palermo (in Sicilia, non in Argentina) per la beatificazione di Don Pino Puglisi e magari sarà la volta buona in cui la chiesa inizia a prendere le distanze dalle mafie, tutte le mafie e rompa, una volta per tutte, il silenzio su questa vicenda, iniziando proprio a chiedere scusa a quel parroco di Brancaccio ucciso il 15 settembre del 1993.

Chiudo questo post con un augurio per il nuovo Pontefix sottolineando le parole di un altro uomo di Chiesa, Don Ciotti: «Ogni cristiano ha una duplice responsabilità: cristiana, appunto, e civile. Non può accontentarsi di affermare un ideale, deve entrare nella storia. E sapere che ovunque è a rischio la dignità, lì viene sacrificato il principio di libertà dell’uomo. La Chiesa deve avviare un processo di purificazione e rinnovamento, diventare più povera, più sobria, meno burocratica, più essenziale, più libera. Parlare il linguaggio della vita delle persone, su sessualità, divorziati, bioetica, uso del denaro. E lo Ior deve passare alla banca Etica, subito».  

lunedì 4 marzo 2013

Chi sono i “Marta sui Tubi” ?




Bologna 22 gennaio 2012, i Marta sui Tubi al Teatro Navile, arrivo tardi, a concerto appena finito, mi fermo a parlare con un’amica fin quando mi volto e vedo un signore che scuote la testa e ripete “Fantastici, fantastici”. E’ Lucio Dalla. Ha appena finito un’incredibile duetto con loro sulle note di “Disperato Erotico Stomp”. Tornerà il giorno dopo e duetteranno ancora con “L’anno che verrà” per poi dire: “quello dei Marta sui Tubi è il live più bello che si possa sentire in Italia”.
Destini incrociati i loro, Bologna, la Sicilia, la Musica ed una collaborazione immediata tanto da “riarrangiare”Cromatica con quel piccolo genio bolognese alla voce e al clarinetto.

Dalla ha messo le ali a questa canzone, rendendola molto più bella. E non potremo mai cantarla dal vivo”diràGiovanni Gulino, siciliano e voce del gruppo come l’altro Carmelo Pipitone. Un gruppo nato nel 2002 a Marsala, poco prima del trasferimento a Bologna e attualmente composto anche dalla batteria di Ivan Paolini(2004) e dalle tastiere di Paolo Pischedda (2008) e dal violoncello di Mattia Boschi (2008).

Muovono i primi passi a Bologna tra cover ed inediti e nel 2003 arriva l’album “Muscoli e dei”, il primo dei cinque. Nel 2008 i Marta sui Tubi fondano un’etichetta discografica, la Tamburi Usati, il cui nome è un anagramma del nome della band ma la svolta arriva nella primavera del 2011 grazie al boom di “Carne con gli occhi”. Il 2013 è l’anno del nuovo disco  “Cinque – La Luna e le spine” (qui)  subito entrato in top ten su iTunes. Hanno partecipato al Festival di Sanremo con i due brani “Dispari” e “Vorrei” e che dir si voglia sono stati loro la vera novità. Novità per il cosiddetto “grande pubblico” tanto da essere oggetto di battutine di vario genere a cui hanno risposto con la solita ironia e l’irriducibile grinta che li contraddistingue. Una presenza di “rottura” la loro, una presenza annunciata per prima tra i 14 partecipanti e su cui Fazio aveva scommesso definendoli un eccellenza. Il premio è andato a Marco Mengoni ma sono loro i veri vincitori, hanno affrontato critiche e palco con una incredibile normalità. Che poi loro non si sforzano di essere normali perché sanno bene che “chi è speciale è sempre il più normale”.
Noi intanto li aspettiamo il 5 aprile a Bologna.