"La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico.
La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare".
Piero Calamandrei

mercoledì 27 agosto 2014

Insegnare diritto a scuola? Sogno più che realtà



Insegnare “diritto” alle superiori più che una realtà è diventato un miraggio, o un sogno. Da qualunque punto d’osservazione ci si pone, purtroppo il risultato non cambia.
Ma cerchiamo di capirne i motivi e le difficoltà che si frappongono tra un neolaureato in Giurisprudenza e l’insegnamento stesso.
Il primo elemento è dato dal sovraffollamento della stessa cattedra (ora accorpata ad economia, per la quale occorre comunque abilitarsi). Infatti è la più ricercata tra le varie classi d’insegnamento: sia per l’elevato numero di domande, sia per i pochi posti disponibili. E la diminuzione della cattedre da riempire, rientra in quel piano di tagli e riforma della scuola che al posto di incrementare le ore di diritto nelle scuole, le ha diminuite.
Ora si potrebbe fare un commento politico sul tema in oggetto, ma si potrebbe anche analizzare il dato in relazione al grado di cultura e di responsabilità civile di questo paese.
Da sempre il Diritto e l’Educazione Civica costituiscono la spina dorsale per qualsiasi cittadino responsabile che abbia voglia di migliorare il proprio paese ( e questa dovrebbe essere la missione della scuola se ci pensiamo bene), ma ai governanti italiani pare non interessi molto avere dei cittadini educati civicamente. Con buona pace di Aldo Moro che nel lontano, ma non troppo, 1958 portò l’educazione civica nelle scuole.
Ma torniamo al neolaureato che sogna d’insegnare Diritto nelle scuole superiori.
Ad oggi, dopo aver sostenuto 26 esami di Diritto (per esperienza e conoscenza personale riporto la carriera base di un fresco laureato in Giurisprudenza all’Alma Mater Studiorum di Bologna), e uno di Economia Politica, il MIUR richiede, come requisito principale per produrre la domanda d’insegnamento e per il TFA, la certificazione di 48 crediti ottenuti per la classe di diritto e altrettanti per la classe di economia. Tolti i 9 già sostenuti obbligatoriamente (da sottolineare che non é insegnamento obbligatorio in tutte le altre facoltà di Giurisprudenza d’Italia) ne rimangono 39 da sostenere per il completamento dei crediti necessari all’abilitazione per l’insegnamento delle discipline economiche. Vanno conseguiti, in linea di massima, con l’iscrizione ai singoli corsi . A pagamento, ovviamente. E per la cronaca, ogni credito da sostenere costa in media 30 euro. Ma non è finita qui. Se consideriamo i 5 anni della laurea magistrale (con il vecchio 3 + 2 questa logica avrebbe avuto più senso), l’idea di sostenere l’ennesimo esame di Diritto, Pubblico in questo caso (classe d’insegnamento 019), metterebbe in dubbio la laurea stessa. In sostanza, o meglio, in forma, il MIUR richiede 12 crediti sostenuti in Diritto Pubblico senza riconoscere minimamente il valore di Diritto Costituzionale (classe d’insegnamento 018). Per i non addetti ai lavori si tratta sostanzialmente della stessa materia (formalmente diversa e non compatibile per via della denominazione non uguale) ma che a Giurisprudenza non viene insegnata a giusta differenza delle scuole di Scienze Politiche ed Economia, per fare un esempio. Ora é indiscusso che sia impensabile, nonché  indignante, il fatto di sostenere un esame, a pagamento tra l’altro, di Diritto Pubblico, per l’appunto. Un esame che un laureato in Giurisprudenza potrebbe/dovrebbe sostenere senza difficoltà e particolare studio date le nozioni base indicate nel programma d’esame.
Da notare, che al momento, nessuno aveva posto il problema. L’ha fatto il sottoscritto sollecitando la Scuola di Giurisprudenza di Bologna a fare il possibile per risolvere l’incompatibilità tra gli insegnamenti di Diritto Pubblico e Diritto Costituzionale ai fini del riconoscimento dei crediti finalizzati all’insegnamento del diritti nelle scuole superiori. In tutta risposta, nel giro di un mese, il Consiglio della Scuola, su proposta della sua Direttrice, la Prof.ssa Sarti, e dietro all’encomiabile lavoro della dott.ssa Gaia Fanelli, ha deliberato (lo scorso 3 luglio) in merito all’equivalenza dei crediti.
Adesso la palla passa all’Ufficio Scolastico Regionale, che valuterà circa l’ammissibilità della richiesta. Speriamo bene.

lunedì 18 agosto 2014

Cosa Grigia, una nuova mafia invisibile all'assalto dell'Italia. Mercoledì a Sciacca...




Si terrà Mercoledì 20 Agosto nella splendida cornice del Castello Incantato di Sciacca (Via F. Bentivegna, 16), alle ore 20.30, la presentazione del libro "Cosa Grigia", una nuova mafia invisibile all'assalto dell'Italia. Sará presente l'autore, il giornalista marsalese Giacomo Di Girolamo, direttore di tp24.it e della radio RMC101 di Trapani. Dialogheranno con lui Massimo D'Antoni, giornalista RMK e Salvo Ognibene, giornalista I Siciliani giovani/Telejato..Saranno presenti rappresentanti di varie istituzioni.
La serata é organizzata da Giuseppe Muscarnera, Commissione Legalità Bologna.

Si prega di dare massima diffusione
Infoline: 3392340174

mercoledì 13 agosto 2014

Pentimenti, giustizia e verità


Partiamo da un dato: senza i collaboratori di giustizia non sapremmo tutto quello che oggi sappiamo sulle mafie. Non sapremmo i rapporti al loro interno, i riti, i misteri e le verità. Probabilmente dubiteremmo ancora dell’esistenza della mafia. Eppure, questi, nascono col nascere delle mafie nonostante solo con Falcone diventino uno “strumento” fondamentale nelle mani della giustizia. Sicuramente hanno avuto un ruolo di primaria importanza nella lotta al terrorismo, ma quella, come ben sappiamo, è un'altra storia.

Il primo pentito di mafia nella storia d’Italia «si chiamava Salvatore D’Amico. A metà dell’Ottocento faceva parte della fratellanza degli stuppagghieri di Monreale. Si trasferì a Bagheria, la cui cosca, detta dei fratuzzi, era in guerra con quella monrealese. Iniziò a temere per la sua vita e decise di dire quello che sapeva sulla mafia ai giudici: “undici giorni dopo il D’Amico veniva trovato crivellato da lupara, con un tappo di sughero in bocca (u stuppagghiu) e con sugli occhi il santino di stoffa della Madonna del Carmine che i fratuzzi portavano al collo a mo’ di amuleto e di riconoscimento. La mafia aveva ritrovato l’unità per punire il traditore, anche se le due cosche continuarono per altri anni a distruggersi a vicenda”».[1] Melchiorre Allegra, medico trapanese “pentito” nel 1937, era «affiliato alla famiglia mafiosa palermitana di Pagliarelli, aveva raccontato, agli ufficiali di polizia che lo avevano arrestato, la struttura di Cosa Nostra, il rito della “punciuta”, i nomi delle famiglie più importanti e i legami con la politica, la sanità e gli affari».[2] Erano gli anni ’30. Altri tempi. Tra D’Amico e Allegra intercorrono storie di pentitismi, collaborazioni e confidenze. Nei verbali venivano chiamati “dichiaranti” ma le scarse norme legislative sul tema e le diverse condizioni storiche del tempo hanno lasciato poche tracce delle testimonianze di questi personaggi. Difatti le notizie sono scarse sulla storia del pentitismo prima di Leonardo Vitale. Un “pentito” vero, quest’ultimo. Rese dichiarazioni spontanee dopo una lunga e travagliata riflessione, cercava un ravvedimento, voleva rimediare per il male fatto così come insegna il catechismo della Chiesa Cattolica. I collaboratori da ricordare, per importanza e verità, non sarebbero pochi. Ci sarebbe da raccontare anche di quei “falsi pentiti”, orchestrati a dovere per confondere le carte in gioco e creare sfiducia in questo strumento. Collaboratore però, non è sinonimo di “pentito”. Ognuno di loro è mosso da un motivo diverso che li porta a collaborare con la giustizia. I soldi, la protezione, o forse un riscatto per il male fatto. Spesso considerati dei delatori, che poi è il peccato di Giuda (e il paragone, non mio, è tristemente infelice), sono da sempre osteggiati e criticati dalla pubblica opinione e da molti addetti ai lavori. Eppure costituiscono un pilastro fondamentale della lotta alla mafia. In questo paese, e non solo. Forse basterebbe proteggerli maggiormente, seriamente, in base alla storia e alle verità riscontrate e non trattarli tutti allo stesso modo. Del resto, da D’Amico, a Buscetta, fino ad arrivare a Iovine, è cambiata la mafia, non il modo di trattare e “usare” i collaboratori di giustizia. Almeno fin quando questi, si limitano a portare verità che non fanno male a molti.




[1] M. Pantaleone, Mafia e politica, Einaudi, Torino cit., p. 22
[2]G. Bongiovanni e A. Petrozzi, Leonardo Vitale, la prigione della follia, l’Unità, 23 dicembre 2009, p. 36

martedì 5 agosto 2014

Nuove, ma non troppo, frontiere per l’agricoltura italiana (anche a Menfi)




Vino ma non solo a Menfi. Da qualche tempo infatti c’è chi ha investito, in via sperimentale, nella coltivazione della Canapa. Tutto nasce dalle giornate informative (la prossima il 9 agosto a Castellana Sicula, guarda qui) svolte dall’Associazione Canapa Siciliana con il patrocinio della Regione nelle nove provincie siciliane.  L’A.C.S, divulga, informa e partecipa attivamente alla realizzazione e gestione, della filiera agro-industriale per la trasformazione della Cannabis Sativa, sul territorio siciliano, ai fini Alimentari, Industriali ed affini. L’Associazione ha lo scopo di agevolare tutti coloro che vogliono coltivare canapa: fornire le consulenze tecniche, guidare l’agricoltore per evitare che possa involontariamente violare la legge, agevolarlo nell’acquisto di sementi certificate e garantire per contratto l’acquisto del seme prodotto. Questa, cura diversi campi sperimentali in giro per la Sicilia. Tra i più importanti va ricordato quello a Castellana, 2 ettari coltivati dal locale Istituto Agrario.
Per farlo non occorre molto: un terreno (la superficie minima coltivabile è di 1 ettaro) a medio impasto con una buona fertilizzazione organica, 3.000 mc di acqua per ettaro coltivato, anche se le irrigazioni delle coltivazioni di canapa dipendono dalla piovosità stagionale e vanno intese come irrigazioni di soccorso e un contratto di vendita firmato col primo trasformatore. Che poi a pensarci bene si sta restituendo al territorio (e all’Italia intera) quella coltivazione che fino agli anni ‘50 era più che familiare: «negli anni ‘50 l’Italia era il secondo maggior produttore di canapa al mondo (dietro soltanto all’Unione Sovietica). La varietà “Carmagnola” forniva la miglior fibra in assoluto, e le rese unitarie per ettaro erano (e potrebbero ancora essere) maggiori che in ogni altro paese. Fino a poco dopo la seconda guerra mondiale era normale, in un paese la cui economia era essenzialmente agricola, coltivare canapa. Con la progressiva industrializzazione e l’avvento del “boom economico”, cominciarono ad essere imposte sul mercato le fibre sintetiche (prodotte negli USA) e la canapa iniziò a sparire non solo fisicamente, ma anche dal ricordo e dalle tradizioni della gente [...] Il governo italiano nel 1961 sottoscriveva una convenzione internazionale chiamata “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” (seguita da quelle del 1971 e del 1988), in cui la canapa sarebbe dovuta sparire dal mondo entro 25 anni dalla sua entrata in vigore. [...] Nel 1975 esce la “legge Cossiga” contro gli stupefacenti, e negli anni successivi gli ultimi ettari coltivati a canapa scompaiono».(1)
Del resto, le condizioni climatiche in Sicilia facilitano la coltivazione della Canapa.

Angelo Gambino, agronomo, spiega che nel campo sperimentale di Menfi «non sono state effettuate né irrigazioni, in quanto la canapa avendo un robusto apparato radicale è una pianta arido-resistente, né diserbi o trattamenti antiparassitari, poiché è dotata di una notevole rusticità. Può rappresentare per i nostri areali la classica coltura da rinnovo che precede il grano duro, migliorandone le rese, e aumentando la complessità dei sistemi colturali siciliani». Tra l’altro il Ministero della Salute ha indicato l’olio di Canapa come un prodotto altamente salutistico nonché ricco di omega 3 e 6.

La Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati ha dato avvio alla discussione delle proposte di legge (scaricabile qui) sulla ripresa della coltivazione della cannabis lo scorso 4 agosto 2014.


Riguardo alle coltivazioni di Canapa, racconta Cesare Quaglia (qui) del direttivo di Assocanapa, «il primo dato che salta all’occhio è che sono raddoppiate le aziende agricole coinvolte nella semina che dalle 150 del 2013 sono passate a circa 300 quest’anno, con il conseguente aumento degli ettari coltivati in Italia che da circa 400 (nel 2013) quest’anno sono diventati 1000 con campi di canapa che fanno capolino dal Piemonte al Veneto passando per Friuli V.G. Sicilia, Puglia e Sardegna. Le aree di maggior produzione sono in Puglia con 245 ettari, Piemonte con 110, Veneto 91, Basilicata con 74, per arrivare anche alla Valle d’Aosta dove è stata avviata la coltivazione sperimentale di un ettaro di canapa».[2]

Per quanto riguarda invece la canapa illegale (quella vendibile in Olanda per intenderci), e qui bisognerebbe aprire un capitolo a parte, «l’Italia è entrata a far parte dei paesi produttori di marijuana. Il Word Drug Report dell’Onu cita il nostro paese, assieme a Stati Uniti e Ucraina, come luogo in cui sono stati eseguiti i sequestri più consistenti di piantagioni di canapa (il 2012 è stato un anno record, con più di 4milioni di piante estirpate) e l’Osservatorio europeo sulla droga indica l’Italia in testa alla classifica europea per sequestri di canapa e di piante, seconda solo alla Turchia. I paesi produttori di stupefacenti sono caratterizzati da alta instabilità, diffusa economia illegale, corruzione. L’erba della camorra invece è sempre più verde: un mercato stimato in almeno 20miliardi l’anno, un punto e mezzo del Pil. Tutto in mano alle mafie [...] I profitti del mercato nero della canapa sono altissimi: i semi selezionati arrivano dal Nord Europa e vengono pagati dai due ai tre euro, i coltivatori ricevono dai 15 ai 20 euro a pianta. L’erba è un moltiplicatore fino a 25 volte del capitale: 10mila euro diventano 250mila in pochi mesi, anche due volte all’anno nelle coltivazioni all’aperto; fino a 4 in quelle indoor: serre, fabbriche dismesse, cantine, soffitte».(3)
Un mercato che ingrossa le mafie e indebolisce la Stato. É davvero così conveniente renderla illegale e lasciarla nelle mani delle organizzazioni criminali?



Ci spiega meglio Giuseppe Nicosia,  Vice Presid. dell’Associazione Canapa Siciliana e socio di Sicilcanapa.

Come mai ti sei interessato al tema?
Il primo ad interessarsi ai derivati alimentari della canapa, circa 8 anni fa, è stato il mio socio Giuseppe Sutera Sardo, vero padre di Sicilcanapa. Da allora un lungo lavoro di ricerca lo ha portato a commercializzare i derivati alimentari della canapa.
L’incontro tra me e lui, ha portato ad ampliare il progetto fino a raggiungere un livello in cui, oltre che commercializzare i derivati della canapa coltivata altrove, aspiriamo a trasformare e vendere un prodotto tutto Siciliano.

Ci spieghi la legislazione in Italia sulla Canapa  e se vi sono variazioni nelle varie regioni?
Dovrei risponderti a questa domanda con un altra domanda: rispetto a cosa?
La canapa è una pianta dalla quale si possono ricavare oltre 50.000 derivati. In questa vasta gamma di sottoprodotti troviamo anche: medicine e “droga” (intesa come sostanza psicoattiva). Se la canapa avesse fornito solo alimenti o solo fibra, sarebbe stato totalmente diverso; ma non sarebbe stata neppure quella “pianta magica” che ha permesso l’evoluzione dell’uomo.
Premesso ciò, la canapa è regolamentata:
1° per ciò che concerne l’aspetto agricolo: si può coltivare solo canapa certificata per scopi industriali. Le specie coltivabili sono tutte certificate senza THC (o a bassissimo contenuto - sotto lo 0,2%). La superficie minima coltivabile è di 1 ettaro. Prima di intraprendere la coltivazione occorre firmare un contratto di vendita col primo trasformatore.
2° per ciò che concerne l’aspetto terapeutico: dal 2007, grazie ad un decreto dell’allora ministro della salute Livia Turco, la cannabis è in tabella II delle sostanze terapeutiche. Attualmente si sta provvedendo a regolamentare la distribuzione tramite ASL, regione per regione. In Sicilia solo quest’anno il presidente Crocetta, dopo la presentazione di due ddl (praticamente identici) per l’erogazione di farmaci contenenti cannabis, depositate rispettivamente dal M5S e dal PD, ha deciso di firmare un decreto che ne regolamenti l’utilizzo da parte dei malati che ne hanno diritto. Purtroppo l’Italia sta diventando il paese delle ingiustizie e delle disuguaglianze: infatti mentre noi, nonostante questo decreto, arranchiamo per permettere a chi soffre di determinate patologie di alleviare le proprie sofferenze con questo farmaco, costringendo qualcuno ad acquistare la cannabis in farmacia addirittura a 43€ a grammo, in Puglia è stata autorizzata la produzione di cannabis che, si suppone, verrà data ai malati al prezzo di 1,55€ a grammo.
3° per ciò che concerne la sostanza stupefacente: la cannabis, nonostante sia una delle sostanze meno tossiche al mondo (nessuno è mai morto per consumo di cannabis, al contrario di tabacco ed alcol...) è ancora in tabella II delle sostanze stupefacenti (da non confondere con la tabelle delle sostanze mediche di prima). L’Italia, paese proibizionista per eccellenza, con migliaia di persone in carcere per possesso di cannabis, è ugualmente il primo consumatore di marijuana e derivati, con oltre il 14% di consumatori tra la popolazione. Se guardiamo i dati registrati in Olanda, dove è sempre stata legale, il misero 8% di consumatori tra la popolazione fa ben capire che non è la proibizione a limitare l’uso di una sostanza, ma la semplice informazione. Se riusciamo ad educare il cittadino verso un uso responsabile di alcol, perché non si può fare con la cannabis?

Una legislazione diversa in materia, potrebbe incidere sull’economia italiana e soprattutto Siciliana date le favorevoli condizioni climatiche per la coltivazione della Canapa?
Una diversa e più chiara legislazione, sicuramente andrebbe ad influire positivamente sulla nostra economia. Faccio un esempio concreto: un imprenditore che decide di far trasformare le infiorescenze di canapa coltivata per scopi industriali e quindi priva di sostanze illegali, rischia tantissimo nel raccogliere tali infiorescenze e trasportarle in un laboratorio per l’estrazione dell’olio essenziale (per farne, ad esempio, cosmesi o farmaci); nonostante sia legale. Se venisse fermato durante il trasporto, a poco servirebbero le certificazioni e, sicuramente, le forze dell’ordine gli sequestrerebbero il raccolto, denunciandolo. L’imprenditore, a quel punto, sarebbe costretto ad assumere un legale, prevedere delle contro-analisi per avere anche una sua perizia a scanso di equivoci, e dovrebbe attendere anni prima di veder risolvere la questione ed essere assolto dall’accusa di “spaccio”.

La Regione Sicilia (ma non è la sola) ha autorizzato l’uso della Cannabis per scopi terapeutici. Cosa vuol dire e cosa implica?
La regione Sicilia ha autorizzato l’uso di cannabis, specie per i malati di Sclerosi Multipla e Cancro, ma solo in alcune sperimentazioni. Chi richiede di poter utilizzare la cannabis spesso ottiene con difficoltà solo una ricetta non ripetibile che consente di acquistare a proprie spese (come dicevo anche 43€ a grammo) questa medicina.

Lo scetticismo diffuso sulla Canapa ha motivo di esistere o è solo un problema d’informazione?
Lo scetticismo è semplicemente un problema di informazione: quando, da educatore alimentare, spiego i benefici che si ottengono mangiando semi di canapa, la gente spesso sgrana gli occhi e mi chiede: “ma sono legali?”. Quando, da cultore di questo vegetale, racconto che è merito della canapa se mangiamo pomodoro e patate, perché Colombo non avrebbe mai raggiunto le Americhe se non avesse avuto a disposizione le vele e le corde di canapa, e quindi non avrebbe mai importato dal nuovo mondo tutto ciò che da noi non c’era, la gente si sorprende e mi chiede: “allora perché l’anno resa illegale?”. Infine, quando rispondo a questa domanda spiegando che è stato per l’interesse dei magnati del petrolio, della cellulosa da albero e del nylon, e che la marijuana è solo una volgare scusa per trasformare una pianta divina in una pianta demoniaca; allora tutti cambiano idea. E’ solo questione di informazione, sempre!

Se fosse legalizzata, cosa comporterebbe?
Intanto diverrebbe più semplice coltivare la canapa per scopi alimentari ed industriali. Inoltre andremmo a risparmiare svariati miliardi di euro spesi direttamente o indirettamente dallo Stato per contrastare il narcotraffico. Infine, e penso che sia l’aspetto più vantaggioso, si toglierebbe dalle mani della criminalità organizzata un mercato che frutta circa 10 MLD di euro l’anno. Questo mercato, da illegale, diverrebbe legale come in Olanda, e quindi tassato. Vendendo la cannabis in specifici “dispensari”, come si fa con l’alcol nei pub, se ne limiterebbe moltissimo l’uso da parte di minorenni (a cui sarebbe vietato l’acquisto e il consumo), e si avrebbe un prodotto controllato e di alta qualità (non come la robaccia spacciata per strada).

Cosa si può acquistare sul vostro sito
www.sicilcanapa.it ?
Sul nostro sito è possibile acquistare i derivati alimentari della canapa, nello specifico: Olio di semi di canapa, farina di semi di canapa, semi di canapa interi o decorticati. Oltre a ciò, è possibile acquistare diversi altri prodotti derivati tutti dal seme, come ad esempio i mix di farine già pronte, la pasta, la fitocosmesi, l’energy drink Canna Bì al sapore di “marijuana”, ma senza principio psicoattivo; e le barrette Hemp Power, fatte di semi di canapa e miele, con il 20% di proteine. Ottime come integratore per chi fa sport, ma anche come merenda per i bambini o come snack da sgranocchiare lontano dei pasti se non addirittura in sostituzione in casi di emergenza. Sono le uniche barrette al mondo che non hanno controindicazioni tranne che per chi è allergico al miele o alla frutta secca.
Il nostro sito è comunque in continua espansione, sia come numero di prodotti derivati dalla canapa, sia come informazioni riguardanti appunto questa straordinaria pianta.