"La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico.
La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare".
Piero Calamandrei

mercoledì 27 luglio 2016

L’alba della legalità, qui dove tutto tace.


Possono esistere ancora oggi luoghi nel nostro paese dove si fa fatica a parlare di mafia? Sono luoghi dove si fatica ancor di più a pronunciare i nomi e i cognomi di quei quaquaraquà che prima o poi finiranno sotto la lente di ingrandimento di investigatori e giornalisti. È questo quello che avviene qui, nella meravigliosa valle del Belice. Se ne parla a bassa voce, cercando di non capire mai troppo e a volte solo per il gusto di far gossip scoprendosi conoscenze, amicizie e parentele chiacchierate o sotto i riflettori del momento. Quanta tristezza.
Come se non ci riguardasse.
Ci siamo abituati anche a questo, come se fosse sempre la prima volta.
Per fortuna, non è mai stata un’abitudine per alcuni. Gli stessi che se non sono stati “costretti” ad andar via, rimangono e lottano. E lo fanno a voce alta nella consapevolezza di sapere che mentre qualcuno fa finta di non sentire, altri tacitamente giocano a conviverci. Qui, come altrove, la mafia è assai cambiata e si è, in parte, anche abituata alle manifestazioni e agli eventi (mai troppo partecipati) che la riguardano, spesso assistendo in religioso silenzio.
Vi potrei raccontare tante storie di questo Belice meraviglioso e allo stesso tempo martoriato. Lo stesso dove nelle ultime settimane le sirene delle forze di polizia e il rumore degli elicotteri (qui) hanno svegliato intere cittadine e stuprato la notte di molti cittadini onesti. Da Menfi a Santa Margherita. Poi si è ripreso il sonno e si è tornati alla solita routine. Come sempre. Come se non fosse successo nulla. Come proprio Tomasi di Lampedusa, che a Santa Margherita passava lunghi periodi di vacanza, ci racconta ne “Il Gattopardo”.
Più avanti proveremo ad approfondire anche questo e vedremo nel dettaglio quello che sta accadendo in un territorio tanto grande quanto, per certi versi, indisturbato. Proprio a due passi da casa di Matteo Messina Denaro. 
Tutto questo da sei anni a questa parte ce lo ricordano gli organizzatori del premio “L’alba della Legalità”. Ed è a loro che va il grazie più grande perché, purtroppo, le illegalitá non tramontano da queste parti e dobbiamo ricordarcelo ogni mattina, riscoprendo la bellezza dell’alba e la consapevolezza di una sveglia attenta che ci ricorda di avere una giornata davanti per affermare, con la forza di idee sane, la dignità che qualcuno, piano piano, vorrebbe toglierci. 

L’evento, “L’alba della Legalità”, si svolgerà a Santa Margherita in piazza Matteotti il prossimo il 31 luglio alle ore 21. E se penso alla scorsa edizione arrossisco ancora (qui)
Quest’anno i riconoscimenti "Gattopardo della legalità" saranno consegnati a:
- Dott. Andrea TARONDO, Magistrato - Sostituto Procuratore di Trapani
- Dott. Gregory BONGIORNO, Presidente di Confindustria Trapani che denunciando una richiesta di pizzo da 60000 euro fa arrestare tre presunti mafiosi del suo paese, Castellammare del Golfo;
- GUARDIA COSTIERA per la costante presenza nel Mediterraneo e per i soccorsi dati agli extracomunitari
- Prof. Girolamo LO VERSO, professore ordinario di Psicologia clinica presso l’Università di Palermo, gruppo analista, sul tema della mafia ha già pubblicato lavori che entrano nel mondo dello psichismo mafioso spiegando il fenomeno “mafia” da un punto di vista antropo-psichico
- Saverio MASI, Caposcorta del PM Nino DI MATTEO

- Gero TEDESCO, redattore del “Giornale di Sicilia” e direttore della rivista indipendente “Fuori Riga”.

mercoledì 20 luglio 2016

Dieci proposte per una Chiesa viva nel contrasto alle mafie


"C'è la Chiesa che è Chiesa e quella che non lo é" si potrebbe brevemente sintetizzare così il lungo corso della Chiesa cattolica e il cambio di passo voluto da Papa Francesco per indirizzarla verso il futuro. Tra i giovani parroci e alcune nomine ecclesiastiche recenti si respira una bella aria, quella che non ha paura del futuro e che lo affronta con sincerità e con il Vangelo come guida.

Parte di questa Chiesa ha capito gli errori fatti in relazione al fenomeno mafioso e alle occasioni mancate nel contrasto alle mafie; per questo è giusto lanciare nuove sfide e chiedere di indicare nuovi percorsi per affrontare al meglio la realtà senza far mancare l'appoggio e il contributo di quello che è Chiesa per davvero. E sempre per questo si propongono, qui di seguito, delle idee da inviare alle singole diocesi convinti che, se adottate, potrebbero davvero influire sulla realtà locale in piena sintonia con le volontà di Papa Francesco.

La riflessione nasce in seguito ai tanti incontri avuti con le comunità cattoliche e con molti parroci durante le presentazioni del mio libro sui rapporti tra mafia e Chiesa e riflettendo sul pensiero e sulle testimonianze di uomini e donne di Chiesa. Al termine di una lunga chiacchierata, un giovane parroco, spiazzandomi, mi chiese: se dovessi parlare con il Vescovo, cosa potrei proporgli?

Ecco, occorre porsi continuamente domande. Occorre trasparenza assoluta e indicazioni ferme da offrire alle comunità parrocchiali e alle loro guide.

1. Inserire dei corsi sulla storia e sulla natura delle organizzazioni criminali all'interno delle facoltà teologiche e delle università gestiste da operatori religiosi

2. Formare i seminaristi offrendo loro opportunità di studio e di incontro volti ad approfondire il fenomeno mafioso e le sue diverse sfaccettature

3. Organizzare dei veri e propri corsi sui rapporti tra mafia e chiesa chiarendo come e dove la chiesa può intervenire per contrastare le organizzazioni criminali di stampo mafioso

4. Modificare il diritto canonico novellando con prese di posizione e linee guida sui comportamenti che la Chiesa locale deve tenere ogni qualvolta se ne presenti la necessità

5. Istituire una commissione di studio per analizzare il territorio sotto il controllo della diocesi e offrire indicazioni mirate

6. Adottare dei decreti da applicare sul territorio diocesano sugli esempi già forniti dalle diocesi di Monreale (escludere i mafiosi dalle confraternite), Acireale (divieto di celebrare le esequie ecclesiastiche per i condannati con sentenza definitiva per reati di mafia) e di Mileto- Nicotera-Tropea (regolamento diocesano per le processioni che, oltre a trasmettere un alto valore simbolico, offre spunti e indicazioni importanti sotto il profilo teologico, liturgico e antropologico, disponendo anche in modo rigoroso la scelta dei portatori e le modalità delle processioni nel territorio della diocesi)

7. Applicare nelle realtà locali le indicazioni fornite dalla conferenza episcopale calabrese nei documenti Testimoniare il Vangelo – Nota Pastorale sulla ‘ndrangheta (giorno di Natale del 2014) e Per una Nuova Evangelizzazione della pietà popolare – Orientamenti pastorali per le Chiese di Calabria (30 giugno 2015)

8. Occorre applicare le regole europee di controllo qualità nelle procedure amministrative e certificare i bilanci economici delle Diocesi e delle Parrocchie

9. Istruire e intensificare, laddove esistono, corsi per gli amministratori di enti ecclesiastici e per i membri dei consigli ecclesiali per gli affari economici

10. Non limitarsi ad affrontare tutto questo soltanto in Italia ma impegnarsi nell'ottica di una Chiesa globale che sia in grado di attivare dei percorsi di educazione cristiana che investono sull'educazione dei giovani e degli adulti verso una cittadinanza attiva che profumi di legalità


Non si tratta di proposte compiute ed esaustive che hanno la pretesa di intervenire in modo chirurgico ma semplicemente di spunti di riflessione da offrire e mettere in pratica secondo le modalità che si riterranno più opportune

mercoledì 13 luglio 2016

L’Italia e le mafie. Una storia comune



Le mafie vanno valutate all’interno della storia nazionale, all’interno della formazione dello Stato nazionale, all’interno degli eventi e delle scelte della politica nazionale”. E’ questo, in sintesi, il risultato dell’analisi attenda e lucida di Isaia Sales riportata nel suo ultimo libro “Storia dell’Italia mafiosa. Perché le mafie hanno avuto successo”.
Lo studioso campano, autore tra gli altri de “I preti e i mafiosi: storia dei rapporti tra mafie e Chiesa cattolica”, interrogando il passato per capire le mafie, offre la sua chiave di lettura dei duecento anni di storia che ci precedono e che legano la storia del nostro paese alle organizzazioni criminali di stampo mafioso. E lo fa individuando anche i maggiori periodi di forza delle mafie: “Se l’Ottocento è il secolo della camorra, il Novecento è quello della mafia siciliana. Questo che viviamo sembra essere quello della ‘ndrangheta”. Sales, ripercorre la storia sin dalla nascita delle organizzazioni criminali, seguendo la loro evoluzione e facendo gli opportuni distinguo con il banditismo e il brigantaggio. Risolvendo i tanti luoghi comuni ancora oggi esistenti, il libro, ha anche il pregio di offrire nuovi stimoli per la pratica civile e di raccontare anche verità poco convenzionali e molto dolorose.
Del resto, altri fenomeni criminali, alcuni più feroci e organizzati, appartengono oggi al passato, perché, a differenza delle mafie, si contrapponevano al potere, alle istituzioni e alla classe dirigente. La mafia, o meglio le mafie, invece, sono l’unica forma di criminalità che hanno avuto successo e continuano ad averne perché non si contrappongono alle istituzioni e alla classe dirigente, anzi.

Nello studio di Sales vi è anche una giusta difesa del meridione, territorio da sempre martoriato e indicato come il capro espiatorio dei mali che affliggono la società italiana. Non si nascondono le “colpe” delle popolazioni meridionali ma in “Storia dell’Italia mafiosa” si propone un’analisi che individua il nocciolo della questione. Non manca il rapporto con la politica, l’economia o la stessa Chiesa cattolica e, grazie alle statistiche riportate e alle diverse citazioni di libri, lo scrittore, accompagna il lettore in una riscoperta della storia d’Italia. Insomma, un libro che merita di vivere nelle biblioteche di ogni cittadino responsabile e che cerca di ristabilire un po’ di verità, sperando che finalmente si capisca che la lotta alle mafie è una lotta per la dignità umana e civile.


Qui per acquistare il libro
Editore Rubbettino Editore
Collana Storie
Anno 2015
ISBN 9788849845464

Pagine 446


Piccola nota personale: essere citati da un grande studioso come Isaia Sales è per me un grande onore, e consentitemi, un piccolo motivo di orgoglio

lunedì 4 luglio 2016

Lettera aperta al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando



Dopo quasi sette mesi di attesa, la scorsa settimana è stato pubblicato l'elenco dei candidati ammessi alla prova orale dell’esame di abilitazione all'esercizio della professione forense.
Molto bassa la percentuale di coloro che hanno superato gli scritti, al contrario invece, dei non ammessi, che hanno assistito ad una vera carneficina consumatasi nelle diverse Corti di Appello italiane, dove, neanche le bocciature più gravi sarebbero state motivate. A Palermo, insieme ad altri praticanti avvocati (al di là delle singole posizioni) che, insieme a me, hanno sostenuto le tre prove scritte per l’ammissione all’esame orale per l’esercizio della professione forense, abbiamo deciso di tenerci per mano e di affrontarli per davvero i problemi che si celano dietro ad un esame concepito male e gestito malissimo.


Ci trovate sul blog "Praticante alza la testa" e qui, la lettera aperta al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando:

Come certamente ben sa, nel nostro Paese viene richiesto ad un giovane laureato Magistrale in Giurisprudenza, che voglia intraprendere la bistrattata professione d’avvocato, di svolgere un periodo di diciotto mesi di pratica forense, nella prassi non retribuita, di spendere cifre non indifferenti per l’iscrizione agli albi dei praticanti e per la formazione, ormai, divenuta un business. Tutto questo, solo per avere la possibilità di sostenere un concorso camuffato da esame di abilitazione. I tempi per sostenere le diverse prove, tre scritte ed una orale, ed ottenere la tanto agognata abilitazione sono notevolmente lunghi. I criteri di valutazione non sono univoci e non è possibile, nella maggior parte dei casi, ricostruire il percorso motivazionale di chi ha corretto.
In buona sostanza, il futuro del giovane giurista viene deciso dall’imperscrutabile arbitrio di un commissario che, vedendo il candidato come un possibile futuro concorrente, si arroga il potere di regolare il numero di quanti vorrebbero accedere alla professione.
In caso di esito negativo, l’aspirante avvocato dovrà attendere nuovamente un anno per poter ripetere la prova, nel medesimo clima di incertezza.
In tutto questo arco di tempo, che si può snodare lungo diversi anni, il praticante non è in grado di sostentarsi autonomamente. Egli, mettendo da parte l’orgoglio, deve chiedere ai propri genitori l’ennesimo esborso economico.
A tale difficile situazione, si aggiunge un quadro legislativo che mira a soffocare sul nascere la libertà di una professione che di “libera” ha ormai poco. Tale normativa, che introdurrà la pratica forense e la scuola obbligatoria a numero chiuso, oltre che aggravare ulteriormente le modalità d’esame, viola palesemente il disposto dell’Art. 3 della nostra Carta Costituzionale. Il principio di eguaglianza, inoltre, è già leso dall'enorme disparità di trattamento esistente tra le modalità di accesso all'abilitazione forense e tutte le altre abilitazioni professionali.
Peraltro, un sistema così impostato si pone chiaramente in contrasto con l’Art. 2 Cost. Gli alti costi, uniti alla totale assenza di qualsivoglia forma di rimborso spese, rendono difficoltoso l’accesso alla professione forense, facendone una vera e propria casta, su cui gli avvocati possono mantenere il controllo sull’accesso.
Ci risulta difficile concepire il motivo per cui un giovane, laureatosi all’età di ventiquattro anni, debba trovarsi, quattro anni più tardi e alla soglia dei trenta, nella più assoluta incertezza circa il proprio futuro.
Per quanto ci riguarda, presso la Corte d’Appello di Palermo, si è assistito quest’anno ad una inspiegabile bocciatura di massa.
Nella specie, circa 400 candidati sono stati ammessi alla prova orale su 1122 partecipanti. I non idonei si sono visti valutare con votazioni ingiustificatamente basse, che denoterebbero gravissime lacune non solo giuridiche ma anche linguistico-grammaticali.
Una conclusione non condivisa dal Preside della Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, Prof. Avv. E. Camilleri. Quest’ultimo, in una recente intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica, ha affermato che alcuni laureati dell’Università di Palermo sono risultati i migliori durante l’ultimo concorso in magistratura.
Noi rifiutiamo di accettare l’idea che il 65% degli aspiranti avvocati della Corte d’Appello di Palermo sia una massa di incapaci. Perché questo è ciò che ci vorrebbe suggerire un’epidemia di voti infimi come quella registrata.
Noi riteniamo, invece, che i nostri elaborati siano stati corretti e valutati con una superficialità che non meritano. Perché in quei manoscritti, sono condensati anni di sudore, di speranze e di aspirazioni.
L'assenza di qualsivoglia segno di correzione e l'assoluta mancanza di motivazione sugli elaborati ci umilia. L'art. 46, comma 5, della Legge 31 dicembre 2012 n. 247, nel disciplinare le modalità di correzione delle prove scritte, infatti, dispone che la commissione deve "annotare le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma del voti espressi dai singoli componenti".
Un'interpretazione costituzionalmente orientata ed evolutiva della normativa citata, ha trovato abbondante accoglimento nella giurisprudenza degli ultimi anni.
La predetta violazione di legge, pertanto, potrà essere sanata solamente da una ricorrezione degli elaborati, che sarà possibile solo a seguito della presentazione di ricorsi al TAR. Come lei sa, la giustizia amministrativa in Italia é un privilegio che non tutti si possono permettere. Il candidato che intende ricorrere al TAR, per la ricorrezione delle prove, infatti, dovrà versare allo Stato circa 650 Euro di contributo unificato oltre il compenso professionale dell'avvocato.
Nonostante tutto, noi crediamo ancora in questa professione.
Una professione in cui ormai, soprattutto per i giovani, gli oneri superano i benefici, le responsabilità superano le soddisfazioni.
Una professione che, oggi più di ieri, ha assunto i contorni di una missione.
Ora più che mai, risuonano nelle nostre orecchie le parole di Piero Calamandrei: “Beati coloro che soffrono per causa di giustizia… ma guai a coloro che fanno soffrire con atto di ingiustizia! E, notate, di qualunque specie e grado di ingiustizia… perchè accogliere una raccomandazione o una segnalazione, favorire particolarmente un amico a danno di un estraneo o di uno sconosciuto, usare un metro diverso nella valutazione del comportamento, o delle attitudini, o delle necessità degli uomini, è pur questo ingiustizia, è pur questo offesa al prossimo, è pur questo ribellione al comando divino”.
Cordiali Saluti

Avvocati negati

#praticantealzalatesta