"La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico.
La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare".
Piero Calamandrei

mercoledì 25 novembre 2015

Bombardamenti e bellezze dimenticate


In questi giorni così pieni di razzismo e solidarietà
Di mezze verità e tante strumentalizzazioni
Di giovani vite spezzate e uomini senza Dio che si fanno saltare in aria, non ho potuto fare a meno di pensare a Sara che è a Beirut (qui un'articolo di Nando Dalla Chiesa chevi racconta chi è e cosa fa). A Andrea Filippini e al suo libro “Afagnistan, Agfanistan, Afganistan” dove racconta la guerra vissuta da un infermiere bolognese. A Vittorio Arrigoni e al suo messaggio di vita. Restiamo umani.
E dovremmo ricordarcelo ogni giorno


mercoledì 11 novembre 2015

E' tutta roba nostra (dall'ultimo numero di Casablanca)

Chi l’avrebbe mai immaginato che diversi magistrati del Tribunale di Palermo venissero messi sotto inchiesta all’interno di un indagine relativa alla gestione dei beni sequestrati (non confiscati come in molti continuando a sostenere) a dei presunti mafiosi? Ha dell’incredibile quanto sta emergendo dall’indagine della procura di Caltanissetta. Un’indagine, che per la gravità delle accuse e i soggetti a cui sono rivolte è destinata a far discutere per molto tempo. E da raccontare c’è tantissimo.

C’è la storia di una “piccola” emittente televisiva che in tempi non sospetti e nel silenzio generale ha acceso i riflettori sulla gestione dei beni sequestrati e ha mostrato anche il dietro le quinte. Le cose peggiori. Storie di famiglie finite in strada a distanza di poche settimane, di amministratori giudiziari che percepivano parcelle milionarie, di giornalisti che hanno atteso alla finestra dimenticando il loro ruolo, di commercialisti, periti, avvocati, consulenti che ruotavano nel mondo dei beni sequestrati a dei cittadini non ancora mafiosi (e che talvolta non lo sono anche se si ritrovano, dopo diversi anni, con un azienda fallita nelle mani), di una Commissione Nazionale Antimafia che non ha voluto ascoltare e che ancora una volta delega e arriva dopo le inchieste giornalistiche e giudiziarie. Storie che la Sicilia non potrebbe permettersi, più. Spunta perfino l’ipotesi di un falso attentato e l’ipotesi di auto riciclaggio.
Il prefetto Caruso (ex direttore dell’ANBC) aveva denunciato le problematiche legate alla gestione dei beni sequestrati in Commissione Antimafia. Niente, non era successo niente. Anzi. Ora giustamente rivendica quanto fatto: “In tempi non sospetti, e in tutte le sedi istituzionali e non, ho rappresentato tutte le criticità riscontrate nella gestione dei beni sequestrati e confiscati e proposto le relative soluzioni. Ora qualcuno dovrà giustificarsi e qualcun altro forse dimettersi…”. [1]

Chissà cosa penserebbero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino se sapessero del terremoto al Tribunale di Palermo. Chissà cosa scriverebbero giornalisti come Pippo Fava e Mauro De Mauro se fossero venuti a conoscenza che nel 2015, mentre in Italia mafie e corruzione sono diventati elementi costituitivi di questo paese, quattro giudici e parte della famiglia di uno di questi venissero messi sotto inchiesta a vario titolo per corruzione, induzione alla concussione, rivelazione di segreto d’ufficio e abuso d’ufficio.
Un anno e mezzo fa, Pino Maniaci e la redazione di Telejato chiedevano di essere ascoltati dalla Commissione Antimafia per approfondire il tema dell'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati. L’appello fu riproposto dopo qualche mese con il lancio di una petizione che raccolse 30.000 firme nel giro di pochi giorni ma  tutti fecero orecchie da mercante.  Nel frattempo sono accadute tante cose. Al frontman diTelejato, tra le altre, hanno impiccato due cani e lo stesso è stato denunciato per stalking dall’ Avv. Cappellano Seminara. Il “re” degli amministratori.

E’ una storia brutta e grossa questa. E il velo di silenzio che l’ha coperta ce lo ha confermato. Insieme a pochi giornalisti e giornali ne hanno parlato, anche “Le Iene”, che con due servizi televisivi andati in onda nei mesi scorsi ha provocato forte imbarazzo. Fonti ben informate dicono che le notizie pubblicate in questi ultimi giorni sono soltanto la punta di un iceberg molto profondo.
E’ stato un anno duro per l’antimafia. Inchieste e vergogne legate ad un giro di potere e di soldi. Di corruzione e favori che hanno mostrato la parte più marcia di questo paese. Staremo a vedere. Intanto abbiamo già perso, tutti.



[1] Ancora veleni menzogne e ombre, Telejato, 11 settembre 2015, http://www.telejato.it/home/mafia-2/ancora-veleni-menzogne-e-ombre/



lunedì 2 novembre 2015

Andrea Camilleri racconta il giorno dei “morti”

Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciriddo si popolava di morti a lui familiari. 
Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddi, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.
I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciriddi era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.
Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.
(da Racconti quotidiani di Andrea Camilleri)