Che forse l'antimafia da cui ripartire, quella di cui si è parlato in questi giorni è proprio questa. Quella di Felicia. Onesta, sincera e coraggiosa. "Però, lo pensate tutti a Peppino"
Nel film di Gianfranco Albano (qui) a molti non è sfuggita la scena di Rocco Chinnici che dona una copia de "I Siciliani" di Pippo Fava a Franca Imbergamo, aspirante giornalista che poi entrata in magistratura sosterrà l'accusa nel processo per l'omicidio di Peppino Impastato. L'articolo contenuto in quel mensile del maggio 1983 a firma di Riccardo Orioles è riproposto sotto. S'intitolava "morte di un siciliano".
La maglietta blu pendeva dal filo dell'alta tensione della
ferrovia, sotto il binario divelto la buca dell'esplosione era profonda mezzo
metro. I brandelli di carne erano sparsi per circa centocinquanta metri.
Trovarono così quel che rimaneva di Peppino Impastato, due chilometri dalla
stazione di Cinisi ed era quasi l'alba.
Nella guerra fra i Barbera e i Greco - medioevo mafioso, anni
sessanta - Cinisi sta per i Greco. Cinisi: cioè i due o trecento delle famiglie
che contano, quelli che hanno le terre, o il potere, o il rispetto. Per tutti
gli altri, non rimane che stare a guardare: voltarsi da un'altra parte quando
c'è lo sparato, in piazza per il lavoro all'alba, baciolemani a voscenza, e mai
parlare di chi comanda. C'è qualche eccezione: un corrispondente saltuario
dell'Ora, qualche iscritto al sindacato, un paio di militanti comunisti, un
giornaletto - "L'Idea Socialista" -; tutto qui.
A distribuire il giornale, nell'estate del sessantasette, c'è un
ragazzo di diciassette anni, Peppino Impastato. In paese, il ragazzo è
conosciuto più che altro come nipote di don Cesare Manzella, uno dei vecchi
uomini di panza. Ma pare che sia la pecora nera della famiglia: legge libri
strani, fa discorsi che non si dovrebbero fare. Ma è un ragazzo, col tempo si
calmerà.
Il giornaletto, si capisce, dura poco: i pezzi grossi del paese
denunciano "quei quattro straccioni" in tribunale, e alla fine arriva
l'invito: o chiudete o finisce male. Si chiude. Peppino però non s'è ancora
messa la testa a posto, e un bel giorno sopra una porta scrostata compare una
targa rossa fiammante: "Circolo Che Guevara". Sono una ventina,
braccianti edili e un paio di studenti, e anche a Cinisi è il Sessantotto. Dopo
qualche mese, il Circolo confluisce in uno dei gruppi extraparlamentari di
allora, "marxista-leninista".
Strana faccenda il sessantotto in un paese di mafia. Da qualche
parte nel mondo ci sono Mao, Karl Marx, Marcuse. Qui a Cinisi c'è don Tano
Badalamenti. O stai zitto o al massimo parli di cose strane e lontane; oppure
parli di don Tano Badalamenti e dei suoi amici. Questa è la scelta a Cinisi. E
per Peppino è una scelta chiara. "Berranno i cavalli mongoli alle fontane
di Roma?" fa il cartello dei fascisti. E la risposta dei
"rossi", poco marcuse e tanta fame, è "no, l'acqua buona è solo
nel villino del sindaco". "Organizzammo una protesta a Terrasini, che
allora soffriva della mancanza d'acqua, con la partecipazione di Bastiano,
netturbino"... E avanti che la rivoluzione è vicina.
Il sessantotto della mafia, invece, a Cinisi e dintorni consiste
nella costruzione della Cuccagna di Punta Raisi. Una faccenda semplice, si
prende un pezzo di terra pieno di rocce, di montagne e di vento, ma espropriabile
con quattro soldi, e ci si fa una pista d'aeroporto. Non sarà granché per
atterrarci, ma in compenso è ottimo per farci gli appalti e per vendere i
terreni attorno, trasformati in lotti per edilizia turistica, alla gente della
Palermo-bene. Favorevoli, le Famiglie. Contrari, i contadini della zona. Facile
capire chi vince la guerra, dopo mesi di manifestazioni, occupazioni e scontri,
sempre con Peppino in prima fila.
Passano i diciassette anni del ragazzo dai discorsi strani, adesso
Peppino è un Capo-dei-Comunisti, un aizzapopolo, uno da fargliela pagare. A suo
padre gliel'hanno già detto, del resto, di stare attento a suo figlio: ma ormai
è troppo tardi per le nerbate, è finito il rispetto, ora Peppino vola.
"Manifestazioni a Cinisi contro il progetto per la terza pista di Punta
Raisi", "Scontenti i proprietari dei terreni", "Cominciati
e subito sospesi i lavori per la terza pista", "Lasceranno solo con
la forza i terreni espropriati per la pista", "Denunciati cinque
giovani a Cinisi", "DOMENICA SERA A ClNISI: COMIZIO DI LOTTA
CONTINUA!".
Inutile adesso ricostruire la storia di tutti quegli anni,
accompagnare Peppino davanti ai cantieri edili e sulla pista dell'aeroporto e
dentro la sede dei lottacontinua e nei cortei, e poi all'università a Palermo e
su a fare il militare. Tanto, sono decine di sconfitte e nessuna vittoria. Ma
se lo facessimo, ci accorgeremmo che ora è molto difficile trovare qualcuno che
non sia un compagno accanto a lui nella piazza, a Cinisi. Non è più un ragazzo,
ed è segnato.
Voce di Peppino: "E così, siamo nei paraggi del Municipio di
Mafiopoli! E' riunita la commissione edilizia. All'ordine del giorno,
l'approvazione del Progetto Z-11. Il grande capo, Tano Seduto, si aggira come
uno sparviero nella piazza...". Adesso l'aizzapopolo ha trovato una nuova
diavoleria, è riuscito a metter su una radio, tre scalzacani e quattro
ferrivecchi, anche la radio ci mancava!
L'aizzapopolo, fra l'altro, ora si crede furbo e per non farsi
denunciare un'altra volta le sue storie anziché a Cinisi le mette in una città
chiamata, guarda un po', Mafiopoli: corso Umberto diventa corso Luciano Liggio,
il sindaco Gero Di Stefano diventa Geronimo Stefanini, il tecnico comunale
l'ingegner Marpionese, e don Tano Badalamenti, con un sogghigno, Tano Seduto. Fra
crepitii e scariche, per venti chilometri all'intorno la gente, la sera, si
diverte a riconoscere i protagonisti di "onda pazza, trasmissione
satiro-schizo-politica sui problemi locali". "Qui radio Aut: onda
pazza!".
"Parola di Tano Seduto, grande capo di Mafiopoli! Ci sarà un
porticciolo bellissimo, già in costruzione, da dove le nostre merci potranno
partire indisturbate... Potremo sistemare le nostre veloci canoe che portano al
di là del mare la sabbia bianca... Le nostre canoe cariche di EROI-che merci...
Potremo FUMARE in pace il calumet, con tabacco BIANCO...".
Non era una storia che poteva durare. E non è durata.
Non sappiamo dove e quando sia stato celebrato esattamente il
processo contro Peppino (il processo vero, intendiamo; quello per Violazione di
rispetto) ma che esso abbia avuto luogo, non abbiamo dubbi. La mafia usa
dibattere "prima" la morte degli avversari più pericolosi, valutare i
pro e i contro. "Pro", ce n'erano tanti. Il figlio di Impastato, il
nipote di don Manzella buonanima, non è più un caruso. E anche quando, ormai il
gioco troppo grande è. Lasciamo andare le storie del municipio, gli appalti, i
palazzi. Lasciamo andare gli amici offesi, che pure ragione hanno. Lasciamo
andare manuàli e zappaterra che stanno alzando la testa peggio del quarantasei.
Ma da Punta Raisi l'eroina per l'America parte. E stu cornuto questo dice alla
radio. A Punta Raisi l'eroina, a Terrasini le armi via mare. E prima o poi
qualche sbirro finisce che lo prende sul serio. Difficile è, ma non si può mai
sapere. "Contro": e quali contro? Chi se ne deve accorgere, di uno
stracciato di meno? La questura? Gli onorevoli? I giornali?
"Ultrà di sinistra dilaniato dalla sua bomba sul
binario" (Corriere della Sera), "Attentatore dilaniato da una
bomba" (L'Avanti), "E' saltato in aria da solo" (Cronaca Vera),
"Probabilmente stava preparando un attentato" (Il Popolo),
"estremista", "esaltato", "kamikaze": no, i
giornali no.
Sulla morte di Impastato, la tesi favorevole alla mafia -
suicidio, attentato mancato - trova immediatamente d'accordo quasi tutta la
stampa italiana (di quella siciliana, con l'eccezione dell'"Ora" di
Palermo, è meglio tacere: per carità di regione). Le indagini ufficiali,
d'altra parte, tardano parecchio a prendere la strada giusta: l'ipotesi del
delitto di mafia viene presa in considerazione dopo diversi giorni; una
manifestazione di studenti contro l'attribuzione di terrorismo all'ucciso, a
Palermo, viene caricata dalla polizia. Ci vorranno anni per arrivare
all'individuazione "ufficiale" di un esecutore materiale, e di un
mandante: don Tano Badalamenti. Quanto al messaggio contenuto nell'omicidio, e
nel modo di compierlo, con l'uomo stordito o legato, e poi fatto saltare in
aria con la dinamite, il suo significato era già estremamente chiaro fin dal primo
momento, almeno a Cinisi: fatevi i fatti vostri.
"Era uscito dalla radio per tornare a casa sua".
"Ci rivediamo alle nove, ha detto". "Domenica, al comizio, aveva
ripetuto i soliti nomi".
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