"La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico.
La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare".
Piero Calamandrei

mercoledì 24 settembre 2014

L’uomo vestito di bianco

rostango

Di Salvo Ognibene e Francesca De Nisi

 “Noi non vogliamo trovare un posto in questa società
 ma creare una società dove valga la pena avere un posto


   Mauro Rostagno è morto al buio. Un paradosso per uno come lui, che di mestiere riportava luce. Cercava di illuminare con le sue parole quelle verità scomode che troppo spesso rimanevano al buio in una Trapani crocevia di interessi politici, massoni, mafiosi. Una Trapani che aveva scelto consapevolmente. E lo rivendicava con orgoglio: “conosco questa terra più di voi perché voi ci siete nati, io l’ho scelta”.
   Non soltanto in Sicilia Mauro cercò di riportare luce: cominciò a farlo molto prima, quando decise che non sarebbe stato uno spettatore indifferente di ciò che gli accadeva intorno, al contrario avrebbe preso attivamente parte alla costruzione del mondo, o meglio dei mondi in cui fu cittadino. Cittadino in molteplici ruoli tutti differenti tra loro, ma tutti ricoperti con lo stesso carisma. Mille vite. Tutte affascinanti. Incredibilmente intense e sconvolgenti. Proprio dalle sue mille vite bisogna partire per cogliere a fondo l’essenza di un uomo che ha saputo costantemente reinventarsi senza vendersi mai.
   Per primo, ci fu il giovane cercatore. Sposatosi appena diciottenne, dopo qualche mese lasciò moglie e figlia e partì approdando prima in Inghilterra e poi in Germania, continuando a reinventarsi nel fare i lavori più umili per mantenersi. Rientrato in Italia, decise di proseguire gli studi a Milano e diplomarsi con l’ambizione di fare il giornalista. La sua anima di cercatore si mette a pulsare nuovamente e decide di partire, stavolta destinazione Francia. Ed ecco che scorgiamo i segnali di ciò che di lì a qualche anno sarebbe diventato: prende parte ad una manifestazione studentesca, viene arrestato e ritorna in Italia, a Trento, dove si iscrive alla Facoltà di Sociologia. Ed eccoci alla militanza politica, la seconda vita di Mauro, quella della presa di coscienza e della ribellione, quella delle urla, delle rivendicazioni sociali, delle scelte di parte.
   Nel 1966 diventa uno dei leader del movimento studentesco, lancia l’idea dell’ “università negativa”, una controproposta all’università tradizionale i quali insegnamenti erano espressione della classe dominante. Ecco la seconda vita di Mauro. Eccola esplodere con tutta la sua vitalità: ecco l’esempio lampante e pulsante dello spirito rivoluzionario che lo accaompagnerà per tutto il suo breve viaggio e che sarà capace di applicare ad ogni contesto nel quale sceglierà di voler agire. 
   Nel ‘69  fonda “Lotta Continua” con Adriano SofriGuido VialeMarco BoatoGiorgi Pietrostefani, Paolo Brogi ed Enrico Deaglio. La sua terza vita ha luogo a Palermo e si divide tra il suo lavoro come assistente alla cattedra di Sociologia e la diffusione del Movimento di cui diventa responsabile regionale. L’attivismo sociale di Mauro cresce esponenzialmente man mano che i giorni passano, il verbo della rivoluzione diventa per lui un Vangelo da portare a conoscenza della popolazione intera, tanto che decide di candidarsi alla Camera con Democrazia Proletaria. La chiusura di Lotta Continua nel ’76 non segna affatto la fine dell’attivismo politico e sociale di Mauro, che tornato a Milano si farà promotore dell’apertura del centro culturale “Macondo”. Un altro esempio di come Mauro trasformasse in diffusione, informazione e confronto tutto ciò con cui veniva a contatto.
   Ed ecco la sua quarta vita: forse la più misteriosa e affascinante perché ha come scenario l’India e come protagonista il passaggio dalla lotta esteriore a quella interiore, dalla ricerca materiale a quella spirituale.
   Mauro prende parte infatti alla Comunità Arancione di Osho Rajneesh, sposando una filosofia fondata sulla meditazione e il rifiuto delle religioni istituzionalizzate. È il momento di una ribellione silenziosa, un percorso interiore al termine del quale approderà di nuovo in Sicilia, per dare il via alla sua quinta vita, la più intensa e consapevole, la più matura e forte.
   Nel 1981 fonda la comunità Saman, un centro terapeutico specializzato nel recupero dei tossicodipendenti. “La gente arriva qua a pezzi, e noi la rimettiamo insieme” dice, predicando un metodo innovativo, che mette in risalto la persona nella sua specificità, non seguendo una strada preordinata perché “ogni essere umano è unico al mondo”. Anche in questo caso l’attenzione di Mauro per il mondo circostante si tramuta subito in azione propositiva, grazie alla sua costante capacità di cogliere l’attimo, di ricordarsi che non esistono altri tempi, altri mondi e altri spazi. Capacità che oggi ci permette di parlare di un tempo così breve in grado di racchiudere molteplici vite così intense.
   L’ambizione di fare il giornalista che lo aveva accompagnato all’inizio del suo viaggio prende vita: a metà degli anni ’80 tiene una rubrica per Radio Tele Cine, all’interno della quale inizia ad occuparsi di cronaca a 360°, trasformando ancora una volta l’idea in azione, il coraggio in contrasto quotidiano, la passione in concretezza.
   Inizia a rilevare le collusioni tra politica e mafia locale, facendo nomi e cognomi, spremendo al massimo la sua necessità di essere, non solo di assistere, ad un cambiamento in meglio della società.  Credeva nel giornalismo vero Mauro, quello genuino il cui compito è cercare la verità, diffonderla, svelarla. L’ennesimo tentativo di cambiare il mondo spronando se stesso, di smuovere la società, di scuoterla. Uno scossone. L’ennesimo scossone. L’ultimo. Se n’è andato al buio. Se n’è andato in silenzio. Lui che per tutta la vita ha urlato. Ancora si cerca verità nella sua morte, ancora mancano i nomi di chi ha provato ad eliminare tante vite in un colpo solo, di chi senza curarsene ha tentato di cancellare tutta quella forza.
   “Sono stato molte volte infedele alle mie idee, ma sempre coerente con me stesso”. Vivono, e sono mancia, poche parole che racchiudono la capacità di cambiare senza essere stanchi, senza tradire il proprio io. 

mercoledì 17 settembre 2014

Un decreto contro la mafia, e c’è chi fa finta di non sentire



«Non possono essere accolti coloro che si sono resi colpevoli di reati disonorevoli o che con il loro comportamento provocano scandalo; coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso o ad associazioni più o meno segrete contrarie ai valori evangelici ed hanno avuto sentenza di condanna per delitti non colposi passata in giudicato».[1]

Il decreto dell’arcivescovo di Monreale(scaricalo qui), mons. Michele Pennisi, rappresenta un vero e netto spartiacque nel rapporto tra mafia e Chiesa. È il primo documento che ha la forza per intervenire, veramente, sia in modo formale ma soprattutto in modo sostanziale, a bloccare quel processo di “cattolicizzazione dei mafiosi”.
Aveva fatto scalpore, lo scorso anno, il decreto[2] del vescovo di Acireale, mons. Antonino Raspanti, che vietava le pubbliche esequie ai soggetti condannati per mafia. Un documento rivoluzionario sul tema, che agisce post mortem, sempre che prima non si fosse verificato un pentimento (e quindi un ravvedimento) durante la vita degli stessi. Il decreto emanato da Pennisi, rompe, senza alcuno indugio, il rapporto tra mafia, Chiesa e quei “fedeli” che grazie alle confraternite riescono ad accaparrarsi quella legittimazione sociali derivante dalla presenza alle feste religiose.
Del resto, ed è bene ricordarlo, questo decreto è stato reso necessario dopo i fatti che hanno coinvolto la Confraternita delle Anime Sante di piazza Ingastone, a Palermo, e l’arresto del suo superiore, Stefano Comandè. Pregiudicato per droga e boss di “cosa nostra”, è stato arrestato il 19 aprile scorso, nel bel mezzo dei riti pasquali.
 Proprio poche ore prima dell’arresto, durante la solenne funzione religiosa del Venerdì Santo, Comandè portava in processione le statue del Cristo morto e di Maria addolorata. E ancora qualche giorno prima, accompagnava con il gonfalone della sua confraternita, il defunto boss Giuseppe Di Giacomo, freddato mentre stava rientrando verso casa. Un funerale di “mafia”, con gli onori del caso e nuovi e vecchi padrini dietro al feretro. In seguito a questi fatti e al successivo silenzio di Paolo Romeo, cardinale di Palermo (silenzio che dopo due settimane dall’arresto di Comandè comportava che questi manteneva ancora il posto di superiore della Confraternita delle Anime Sante), interveniva proprio Pennisi che durante un convegno a Monreale sull’importanza delle stesse confraternita in relazione al territorio asseriva:  «Tutti coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso o ad associazioni più o meno segrete contrarie ai valori evangelici non possono far parte di associazioni religiose, confraternite, comitati festa o consigli pastorali».[3] Due giorni dopo Pennisi firmava il decreto in oggetto e subito dopo la Curia palermitana  lasciava decadere Comandè dal suo ruolo di superiore della Confraternita che veniva sospesa a tempo indeterminato e affidata ad un commissario visitatore. Una situazione paradossale ma sicuramente non è la prima volta che vi siano delle commistioni di questo genere.
Per fare alcuni esempi in terra di Sicilia si potrebbe citare il caso, avvenuto nell’estate del 2012, del boss Alessandro D’Ambrogio che con tanto di pettorina, utile per distinguere i confrati dalla massa, sfilava dietro la vara della Madonna del Carmelo nel quartiere di Ballarò, a Palermo. Una festa religiosa che a Palermo, é seconda solo a quella della “Santuzza”, di Santa Rosalia. In questi due anni, D’Ambrogio, 40 anni e una condanna definitiva per associazione mafiosa, è tornato in carcere nel corso dell’operazione Alexander e proprio pochi giorni fa, mentre lui si ritrovava rinchiuso nella sezione 41 bis a Novara, la “Madonna” si è inchinata davanti al covo del boss, l’ agenzia di pompe funebri della sua famiglia. Ma se Comandè è stato rimosso dal suo ruolo di superiore ad
Alessandro D’Ambrogio, «nessuno l’ha ancora sospeso dalla confraternita di Ballarò. Anche il suo vice, Tonino Seranella, è un devoto speciale della processione di fine luglio, pure lui due anni fa spingeva la vara per le strade del popolare mercato palermitano».[4]
Sarebbe auspicabile un maggiore controllo sui soggetti facenti parte della Confraternita, anche richiedendo il certificato penale, se necessario. A differenza di quanto pensa monsignor Barbaro Scionti, parroco della basilica cattedrale di Catania,  che così rispondeva in merito alle infiltrazioni mafiose nel circolo di Sant’Agata: «Non siamo qui per cacciare la persone, non possiamo chiedere il certificato penale a chiunque chieda di entrare in un’associazione religiosa. La Chiesa non può imporre questi limiti, ma siamo chiamati a pronunciarci affinché i suoi membri siano dei buoni cittadini, rinnovando le coscienze e fissando delle regole che ci impegneremo a far rispettare».[5]
Quello delle infiltrazioni mafiose nelle Confraternite e la loro strumentalizzazione per fini diversi da quello del culto cattolico, non rappresenta però, l’unico fronte da arginare. Anzi, il problema é molto più complesso. Il decreto di Pennisi, così come quello di Raspanti citato all’inizio, rappresenta l’elemento quasi ultimo per porre fuori, definitivamente e veramente, i mafiosi dalla Chiesa. Sicuramente può svolgere una funzione deterrente per giungere al provvedimento più naturale che la Chiesa nazionale dovrebbe adottare e su cui ha perso tempo prezioso: la scomunica. Certo, le parole di Papa Francesco, forti e precise, non lasciano dubbi sull’incompatibilità religiosa ed etica tra la mafia e la Chiesa cattolica.
Rimangono parole però a cui nessuna diocesi, nessun parroco è tenuto a sottostare, così come accaduto in tutti questi anni. È arrivato il momento di trasformare le parole in azioni affinché non accadano più fatti[6] come quelli avvenuti recentemente in Calabria (e che per fortuna sono stati oggetto dell’attenzione dei media nazionali).
Urge, sempre più, un provvedimento che escluda, una volte e per tutte, i mafiosi dalla Chiesa. Provvedimento, che dia attuazione ai buoni intenti di Francesco e della sua Chiesa e che spieghi come cambiare l’ordinamento canonico ed ecclesiastico per evitare l’accesso dei mafiosi alla comunità ecclesiastica.
Del resto, nel corso degli anni, la varie Conferenze Episcopali, nazionale e regionali, hanno prodotto dei buoni documenti per sancire l’incompatibilità tra la mafia e la Chiesa. Per questi motivi non c’è più tempo per aspettare. E ce lo conferma la beatificatio di Puglisi quale martire della Chiesa, ucciso in odio alla fede. Proprio lui, non appena giunto nella sua parrocchia a Brancaccio, non perse tempo a sciogliere la Confraternita di San Gaetano per infiltrazioni mafiose e a mettere fuori i boss dalla comunità della Chiesa. Chiesa che ha continuato ad accoglierli e Chiesa che può dimostrare al suo popolo di aver sbagliato, prima, e di seguire l’esempio del suo beato, ora.
Applicando, semplicemente, il Vangelo.



[1] Michele Pennisi, decreto arcivescovo di Monreale, 05 maggio 2014
[2] Antonino Raspanti, decreto arcivescovo di Acireale, 20 giugno 2013: “che sia privato delle esequie ecclesiastiche in tutto il territorio della Diocesi di Acireale chi è stato condannato penalmente per reati di mafia, con sentenza definitiva, dal competente organo giudiziario dello Stato italiano, se prima della morte non abbia dato alcun segno di pentimento”.
[3] S. Palazzolo, Mafia nelle confraternite, Romeo tace e Pennisi attacca: “Fuori i collusi dalla Chiesa”, La Repubblica, palermo.repubblica.it/cronaca/2014/05/03/news/mafia_nelle_confraternite_il_vescovo_pennisi_all_attacco_fuori_i_collusi_dalla_chiesa-85096000/
[4] S. Palazzolo, G. Ruta, La Madonna si inchina al covo del padrino, processione shock tra i vicoli di Ballarò, La Repubblica, http://palermo.repubblica.it/cronaca/2014/07/29/news/la_madonna_si_inchina_al_covo_del_padrino_processione_shock_tra_i_vicoli_di_ballar-92633490/?ref=HRER3-1#gallery-slider=90944559
[6]Oppido Marmetina: “Inchino” della statua della Madonna davanti all’abitazione del boss Giuseppe Mazzagatti ed il seguente abbandono della processione da parte dei carabinieri.
San Procopio: La statua del Patrono si sarebbe fermata davanti alla casa del boss Nicola Alvaro. Successivamente, la moglie del boss, avrebbe versato la propria offerta in denaro.
Vibo Valentia: Il Comitato per l’ordine e la sicurezza ha disposto misure straordinarie, commissariando la processione dopo aver riscontrato, tra i portatori della statua della Madonna del Carmelo, soggetti vicini ad ambienti criminali.

lunedì 8 settembre 2014

Schiuse le uova di 22 piccole tartarughe sulla spiaggia di Menfi

Dopo una lunga attesa finalmente stanotte alle ore 00:15 circa si sono schiuse sulla spiaggia della zona Capparrina di Menfi, le uova di 22 piccole tartarughe della specie Caretta caretta (la tartaruga marinad’acqua salata più comune del Mar Mediterraneo) che erano state deposte circa 63 giorni fa.
Un evento eccezionale ed importante sia perchè le nidificazioni sono davvero rare nella nostra zona ma anche perchè la specie “Caretta caretta” è classificata nella Red list dell’IUNC tra gli animali ad altissimo rischio di estinzione.
Video realizzato da “Progetto Tartarughe Menfi”.
Alla luce della luna piena, che con molta probabilità ha dato una mano al verificarsi dell’evento, e delle torce dei pochi spettatori fortunati che erano lì per il monitoraggio del nido, le piccole tartarughe si sono fatte strada tra le forme della spiaggia fino a raggiungere il mare, dove passeranno il resto della loro vita.
Il progetto di monitoraggio, ideato e proposto da Angelo Napoli(WWF), ha visto la fattiva collaborazione di un nutrito gruppo di volontari dell’associazione OfficinAmbiente.
L’attesa per la schiusa non è ancora terminata: attese altri 30-40 esemplari.

Presumibilmente il nido è costituito da circa un centinaio di uova che potrebbero continuare a portare alla luce altri esemplari di Caretta caretta nelle prossime notti.
Per tale motivo, il monitoraggio del nido continuerà ancora fino al 10 settembre, quando, si spera, tutte le piccole tartarughe avranno raggiunto con successo il mare e inizieranno quel viaggio lungo e misterioso attraverso il Mediterraneo.
Al progetto, presentato da Angelo Napoli (rappresentante a Menfi delW.W.F. Italia) e sostenuto anche dal Laboratorio di Zoologia dell’Università degli Studi di Palermo, ScopriMenfi, gruppo AGESCI Menfi 1° e dal camping La Palma, hanno aderito e aderiscono numerosi volontari.

Fonte Comunali Menfi

mercoledì 3 settembre 2014

Mappatura Georeferenziata dei beni confiscati alle Mafie in Emilia Romagna


Dal sito del Master "Pio La Torre"


L’Emilia Romagna negli ultimi anni ha visto aumentare in maniera considerevole il numero dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata di stampo mafioso sul proprio territori. A seguito di questo incremento risulta urgente capire quanti essi siano e quale sia la loro entità.

Purtroppo, le informazioni rese disponibili dall’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati alle criminalità organizzata (ANBSC) sono molto parziali e poco approfondite: consistono infatti in dati statistici o numerici che non sono in grado di restituire informazioni sulla reale consistenza dell’immobile con un margine di errore che può spaziare da una cantina di pochi metri quadri all’attico di pregi, con una lista di variabili che potrebbe essere pressoché infinita. La mancanza di un quadro chiaro e aggiornato arreca due fondamentali conseguenze: la prima è rappresentata dalle enormi difficoltà che le amministrazioni incontrano nel gestire e riprogettare l’utilizzo di questi beni, la seconda, è il non remoto rischio di rendere vano il messaggio che si cela dietro l’utilizzo sociale di beni confiscati. Alla luce di queste riflessioni emerge la lapalissiana esigenza di un monitoraggio meno statistico a fronte di uno più pragmatico e fruibile dai diversi soggetti coinvolti che possa dare un reale quadro delle opportunità e delle criticità: è a seguito di questa necessità che nasce la mappatura regionale dei beni confiscati.

La mappatura qui presentata è frutto di un progetto realizzato dall’Arch. Federica Terenzi nel corso del Master in "Gestione e riutilizzo dei beni confiscati. Pio La Torre", e consiste in una mappatura georeferenziata realizzata integrando con una serie di notizie specifiche del bene (fotografie, dati catastali, eventuali pratiche edilizie che hanno interessato gli immobili, copia dei decreti di sequestro e di confisca) i dati ufficiali ed aggiornati che sono stati forniti dall'Agenzia stessa. A questo punto era necessario che questo strumento potesse essere messo a disposizione della collettività e con la Regione Emilia Romagna, che patrocina il nostro Master, si è pensato di caricare la mappatura sul loro sito. In attesa che la Regione predisponga una piattaforma ad hoc, abbiamo pensato di caricare la mappatura sul sito di Mafie e Antimafia.

Si tratta di un progetto, esempio di felice collaborazione tra Enti, di open data che utilizza dati ufficiali elaborati da una professionista che, accanto alla sua formazione di base, architetto, ha accostato la formazione di un Master specifico sulla Gestione e riutilizzo dei beni confiscati. Non si posso infatti trattare questi beni, senza conoscere il contesto sociale nel quale sono nati (criminale-mafioso), le dinamiche perverse che li hanno mantenuti in vita e le procedure che, dal sequestro, li hanno portati alla confisca definitiva. Il lavoro della mappatura ha dunque un duplice obiettivo conoscitivo: uno rivolto verso la cittadinanza che attraverso la conoscenza di quelle virtuose esperienze messe in pratica sul proprio territorio è in grado di comprendere la profondità dell’infiltrazione mafiosa e al contempo la resistenza messa in campo da tutti i soggetti coinvolti nei movimenti antimafia e nella promozione della legalità; il secondo è rivolto verso le istituzioni che potranno utilizzare questo lavoro come strumento di programmazione nell’amministrazione del territorio, creando virtuosi canali di comunicazione e collaborazione tra i diversi ambiti e settori.

La mappatura dei beni immobili confiscati in Emilia Romagna non è solo un fondamentale strumento per la promozione e diffusione della cultura della legalità ma, anche grazie al contributo della legge regionale n.3/2011, si pone come un vero e proprio strumento di progettazione e pianificazione del territorio, un’importantissima occasione di buon governo che può entrare a far parte sia dei programmi di pianificazione territoriale sia di quelli finanziari.