Quando abbiamo iniziato il nostro percorso (qui, eh), esattamente due anni fa, sicuramente nessuno di noi si sarebbe aspettato di arrivare a questo
punto. L'adrenalina e l'entusiasmo erano tanti. I Siciliani giovani, un sogno importante. La
figura alle spalle di Giuseppe Fava,
imponente. Forse ci ha un po' intimoriti perché ci sentivamo
sulle spalle responsabilità di dare il nostro contributo a quel giornalismo "etico" al di fuori dei confini siciliani;
qui, in questa terra nordica distante chilometri, ma che ha sicuramente
ristretto fino quasi a far combaciare i perimetri degli affari politici,
imprenditoriali, culturali che per moltissimo tempo sono stati considerati
caratteristiche peculiari del sud Italia.
Invece hanno avuto un eco spropositato in tutto il resto della penisola già da
decenni, trovando terreno fertile su quella "area
grigia" di inseperienza mista a collusione, una creta plasmabile nelle
mani delle organizzazioni criminali che comincia a far vedere i suoi frutti
oggi.
Verrebbe da chiedersi cosa c'entri Pippo Fava con Bologna, o
meglio, cosa c'entri Catania con Bologna. A parte il fatto che ci teniamo
sempre a ribadire che il primo giornalista a parlare di mafia attraverso lo
strumento diretto e più afferrabile da parte della popolazione, la televisione,
fu proprio un bolognese, Enzo Biagi: nel lontano 1962 con una puntata della sua
trasmissione "Rotocalco Televisivo", su Corleone, terra natia dei
grandi boss di Cosa Nostra. E lo stesso Biagi ci regalerà l'ultima intervista
pubblica a Pippo Fava, quell'agghiacciante e profetica intervista che ci mostra
come Fava aveva già capito tutto quello che c'era da capire, e che ancora oggi è
attuale. Come prima, più di prima. Ma
non è questo forse il punto principale di tutto. Catania e Bologna, la Sicilia
e l'Emilia-Romagna, trent'anni fa e oggi, sono indissolubilmente legate dal
fatto che hanno rappresentato, le prime ieri, le seconde oggi, pozzi senza
fondo di ricchezza per la mafia. L'unica differenza fondamentale, è che se in
Sicilia l'egemonia incostrastata era tenuta in mano da Cosa Nostra, oggi giù al Nord, le quattro mafie
italiane insieme alle sette mafie
straniere, si distribuiscono i settori del guadagno. E se in trenta, quaranta,
cinquan'tanni il Sud Italia con fatica, sangue e bombe, è riuscita a produrre
anticorpi efficaci, il Nord si trova su molti fronti completamente impreparato
per far muso duro contro il meccanismo
complesso delle mafie.
E' a questo punto che entriamo in
scena noi: siamo tutti studenti universitari che abbiamo provato a ritagliarci
uno spazio all'interno di questa realtà complessa, inserendoci in un solco già
segnato da altri, con la nostra semplice voglia di fare. Abbiamo cercato di
ascoltare al meglio le domande che ci venivano poste, di raccogliere le
sollecitazioni del mondo che ci circonda, per offrire i fatti al lettore, il
nostro unico giudice. Le
Dieci e Venticinque, non sono un orario scelto a caso: quelle lancette non
rappresentano soltanto lo scempio di quel 2 agosto 1980 che ha aperto una
ferita insanabile. Quelle lancette rappresentano una ferita ancora aperta, che
ancora oggi sanguina, visto che a 33 anni di distanza non si è avuto il
coraggio politico di mettere mano dentro quello squarcio che arriva fino al soffitto;
o semplicemente non si è avuto il pudore di rispettare i patti, i proclami alle
celebrazioni che ricordano la strage, per fornire i risarcimenti ai parenti
delle vittime.
Lancette che potrebbero essere benissimo portate avanti, per
arrivare alle 20:59, momento in cui un aereo Itavia squarcia il cielo, e
precipita sul fondo del mare, a più di 3000 metri. Una verità buia, profonda,
che non si vuole accettare, ma nascondere. Lì sotto, in quello stesso mare.
Lancette che simboleggiano una verità negata, un assenza
dello Stato inteso in tutte le sue sfaccettature, le troppe inerzie e prigrizie
che anche il mondo dell'informazione si trascinano dietro da sempre.
Il presente senza passato, non ha futuro. Quelle lancette
provano ad essere una risposta.
In questi due anni noi ci abbiamo provato, a piccoli passi,
lettera per lettera, parola per parola.
I nostri mensili, gli articoli, raccontare una Bologna che è
Italia e un'Italia che è Bologna.
Una rete antimafia
in Emilia-Romagna, questa incredibile ragnatela che ci lega da Piacenza a Rimini, e che ci
spinge ancora di più a voler fare, creare, costruire ponti fra noi e altri. Il
senso della rete dove ogni singolo non sarebbe niente se non ci fosse l'altro.
Adesso camminiamo, a poco a poco. Le lancette si spostano di
minuti e secondi, ma non di anni: le ore 22 del 5 gennaio. Non 1984, ma 2014.
Ci ritroviamo lì, nella via con il nome di quel Direttore che abbiamo imparato a
conoscere, che ci copre le spalle, ci sta accanto, scruta l'orizzonte.
Una linea sempre fissa, un sentiero già percorso, e tanta strada ancora da
fare...tra un 5 gennaio e un altro. Pippo
Fava c'è, ci siamo noi, la rete c'è. Su quelle lancette, su quell'orologio
apparentemente fermo, ma nel quale si sente il rumore degli ingranaggi che
ricominciano a muoversi.
Ci vorrà tempo, su questo non c'è dubbio: nonostante siano
solo due anni, abbiamo provato a fare il
massimo, nel nostro piccolo...credeteci.
Vogliamo ringraziare i nostri lettori, i nostri tanti amici
che hanno reso possibile tutto questo e soprattutto chi ci ha preso per mano,
ci ha dato dei consigli e la possibilità di essere I Siciliani
giovani qui a Bologna. Un'altra figura, anch'essa imponente, forte e romantica,
che continua a lottare tra mille difficoltà, e incarna perfettamente quel
"A che serve essere vivi, se non c'è il coraggio di lottare?". Non
c'è bisogno di nomi, è solo un grande abbraccio.
Ci rivediamo qui, fra un anno, due, cinque, dieci, per
festeggiare ancora. A Catania e a Bologna. 5 gennaio o 2 agosto, cioè tutti i giorni.
Noi non ci muoviamo.
"La verità! Non quella
che arriva alle pagine dei giornali con le sue gambe, spesso camuffata,
distorta, sciancata, truccata dagli interessi di coloro che sorridendo ve la
porgono o suggeriscono, ma la verità che il giornalista va a cercare
pazientemente dove essa è stata nascosta, e che vi racconta con assoluta
sincerità e onestà, quando è il caso con durezza e sempre comunque con la
volontà di rendere un servizio essenziale."
(Giuseppe Fava)
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